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Django "I'll see you in my dreams"

  • Immagine del redattore: Manuel Belli
    Manuel Belli
  • 31 ott 2014
  • Tempo di lettura: 3 min

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La vita e la storia artistica di Django Reinhardt, (1910-1953) il chitarrista zingaro che suonava con due sole dita della mano destra, iniziano in un carrozzone alle porte di parigi agli inizi del 900 e si concluderanno appena 43 anni più tardi a Samois sur Seine dove il maestro chitarrista, e pittore zigano si era ritirato a vivere. In questi 43 anni Django a

vrebbe per sempre cambiato il corso del jazz e il suo modo di suonare sarebbe divenuto leggendario negli anni. Django iniziò a suonare in tenera età seguendo le orme dei suoi familiari appartenenti alla genia manouche. La tradizione prevedeva il tramandarsi della musica in maniera diretta e con un "insegnamento" non ortodosso ma frutto di una tradizione quasi ancestrale all'interno dei clan. Django inizia giovanissimo suonando il banjo con cui si guadagna da vivere suonando per le strade e i locali di Parigi e si fa subito notare passando da un ingaggio all'altro. In seguito all'incendio del carrozzone dove vive con la moglie di ritorno da una serata perde quasi completamente l'uso della mano sinistra e i medici gli consigliano di lasciare perdere con la musica. Django non si da per vinto e dimostrando una tenacia fuori dal comune trascorre un anno di convalescenza nel quale reimpara letteralmente a suonare (nel frattempo passa alla chitarra) utilizzando principalmente le sole due dita della mano sinistra che è ancora in grado di muovere. Diventerà in capo a pochi anni universalmente riconosciuto come uno dei più grandi chitarristi della storia del jazz. Come se ciò non bastasse per essere sufficientemente incredibile bisogna anche ricordare che Django fu anche un compositore molto dotato oltre che un prolifico pittore. Non imparò mai a leggere o scrivere la musica (c'è chi dice che non sapesse nemmeno leggere o scrivere eccetto il suo nome) ma questo non gli impedì di esprimersi ai massimi livelli.

L'eredità di Django è enorme ed è difficile riassumere in poche righe ciò che questo artista straordinario rappresenta ed ha rappresentato nel mondo della musica e dell'arte. Si può ricordare la sua espressività e limpidezza del fraseggio, la sua spontaneità sempre fresca e nuova, mai banale, mai scontata. Il suo vivere l'attimo zen dell'improvvisazione in completa fusione con la musica, il suo rapporto con il suo grande alter ego Stephane Grapelli violinista e pianista fondatore insieme a Django del leggendario quintetto.

Ma per potere rappresentare Django nella sua totalità bisognerebbe anche ricordare gli episodi e il carattere che ne rimarcano il modo spontaneo e "zingaro" di essere umanamente ed artisticamente. Come quando una notte durante la seconda guerra mondiale fu arrestato e portato in caserma dalle SS vicino al confine svizzero e scoppiò a ridere alla vista di uno dei ritratti del Fhurer che facevano bella mostra in ufficio. O quando i suoi colleghi musicisti al sopraggiungere della primavera lo sentivano mormorare "Ha la primavera" e andavano nel panico più totale perchè sapevano che Django era in grado di sparire per settimane riapparendo poi all'improvviso in un club magari in una notte di luna.

O di quando a Roma per una serie di concerti venne ospitato in uno dei migliori alberghi della capitale dove nessuno fu in grado di rintracciarlo il mattino seguente perchè gli mancava il cielo stellato e aveva preferito dormire all'aperto.

Tuti episodi che testimoniano di un personaggio e di un epoca irripetibili così come la musica di Django che benchè sia stata ripresa e copiata da schiere di chitarristi in tutto il mondo resta comunque unica e inimitabile. Django lavorò in condizioni molto difficili a causa della guerra e vide certamente molti dei suoi amici e compagni di avventure morire o finire nei campi di concentramento, ma non perse mai il suo modo unico di guardare alla musica e alla vita nonostante queste immani tragedie che attraversarono il suo tempo.

La storia di Django è la storia di un musicista ma anche forse un modello di ispirazione a cui in molti ancora oggi guardano con interesse, nel mondo sempre più di plastica e ovattato della moderna civiltà tecnologica molto asettica.

Rimase deluso dall'avventura americana negli ultimi anni della sua vita, ebbe modo di conoscere e suonare con i grandi che gli furono di ispirazione (Duke Ellington in primis) tornò in europa e suonava la chitarra elettrica ora con un linguaggio molto raffinato e d'avanguardia come il bebop che cominciava a muovere i primi passi.

Ma il pubblico voleva il quintetto e Django cominciò a sentirsi incompreso e finì per dedicarsi sempre di più alla pittura ritirandosi in un piccolo villaggio a pochi km da parigi dove finalmente ebbe la sua prima casa dopo avere vissuto la sua vita in un carrozzone.

Qui moriva il 16 maggio 1953 e fu seppellito con la sua chitarra così come vuole l'usanza zingara.

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