Musica e suono nelle produzioni in studio, parte I
- Manuel Belli
- 13 ago 2015
- Tempo di lettura: 3 min

Spesso capita parlando con gli studenti (in particolare dei corsi più avanzati) che si cominci a parlare di suono e tecniche di regisrazione. In genere le domande vertono sugli album o gli artisti che ascoltano o magari semplicemente hanno realizzato un demo o un album (o verrebbero farlo) ma non sanno da che parte cominciare ne come ottenere il meglio dalle loro performance. L'argomento è ovviamente interessante ma anche molto vasto e quando cominciano a capire di non potere ottenere una risposta in 10 minuti magari ci rimangono un po' male. Cercherò di focalizzarmi in questa serie di articoli su quelli che sono gli aspetti salienti per permettere di comprendere meglio e poter aiutare chi desidera avvicinarsi al mondo della registrazione professionale.
In epoca "analogica" si andava in studio e ogniuno aveva un ruolo ben definito, c'era il fonico, l'addetto al mixer, c'era il tecnico o ingegnere del suono e così via. Ognuno aveva il suo ruolo ben definito dettato da una precisa professionalità spesso acquisita con anni di pratica e lavoro in sala di registrazione. Oggi in epoca digitale è tutto molto diverso, spesso i compositori di musica da film lavorano in quasi completa solitudine e buona parte dei jingle pubblicitari e dell'hip hop e musica "commerciale" vengono prodotti e assemblati in piccoli studi.
Esistono molti modi per lavorare e ogni produttore ha il suo, ma oggi con i campionamenti ad altissima qualità è possibile riprodurre virtualmente un intera orchestra senza che sia possibile notare (tranne che ad un orecchio esperto e molto allenato) alcuna differenza con l'originale.
Esiste un aspetto tecnico che fa parte del bagaglio di un produttore, ma sopratutto esiste un aspetto teorico e conoscitivo sul suono e le sue forme che è spesso più evasivo e difficile con cui confrontarsi. I suoni si possono rappresentare come forme d'onda, questo è ciò che distingue il suono di un clarinetto per esempio, da quello di una chitarra elettrica, ma assemblare e modificare insieme i suoni richiede una certa pratica.
La forma e il suono di un orchestra sono sostanzialmente gli stessi oggi come qualche secolo fa, ma nel frattempo altri strumenti si sono aggiunti sulla nostra tavolozza e strumenti come i sintetizzatori permettono suoni di dintesi e creazioni e assemblaggi pressochè infiniti per il musicista moderno. Personalmente penso ai suoni così come un pittore considera i colori, esiste una struttura e uno studio sui colori così come sui suoni, ma in quest'ultimo caso è molto difficile potersi orientare perchè non esistono macchine o guide ma solo i nostri occhi (nel caso dei colori) o le nostre orecchie (nel caso appunto dei suoni).
Ogniuno dei media considerati (analogico o digitale) comporta un diverso approccio musicale e sonoro alla registrazione. Se suono in analogico tendo a costruire una performance valida per una certa durata di tempo (è molto più complicato fare editing, tagliare, copiare, incollare ecc...) mentre invece in digitale il rischio è che la macchina prenda il sopravvento sulla creativitò. E' fin troppo facile coi computer e i programmi di oggi correggere intonazioni, pitch, e quantizzazioni, ma questo rischia di appiattire e disumanizzare il contenuto. Che fare quindi? Ovviamente non esiste una risposta univoca a questo dilemma, dipende sempre a quale tipo di prodotto stiamo lavorando, ma è importante capire che intanto l'approccio differente esiste e bisognerà potercisi confrontare al momento opportuno. Ci sono cose che si posso ottenere con l'analogico e altre con il digitale ed è bene conoscerle e sapere di cosa si tratta se si vogliono ottenere buoni rispultati. In generi come il jazz e il blues si predilige una certa spontaneità di lavoro ed in genere si tratta nella maggior parte dei casi di registrazioni "live" in studio dove si cerca di infondere e catturare l'energia improvvisativa allo stato puro. Ma in molti altri generi musicali non è così, nella musica orchestrale o da cinema e in buona parte del pop e rock odierno (oltre che del recente passato basti pensare al colossale lavoro di studio di band come i Pink Floyd) il lavoro di editing è spesso vasto ed impegnativo e finisce per costituire una parte rilevante dell'opera conclusiva dell'artista.
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